TOR Des Glaciers - 450KM 37000D+
6 giorni, 14 ore e 37 minuti deambulando sulle alte vie 3 e 4 della VdA
7 ore forse meno con Morfeo
PS: Essendo consapevole che il post ideale in FB è di circa 70 caratteri non posso far altro che scusarmi in anticipo.
Ci sono quelli che pianificano grandi progetti, sogni, obiettivi e ci sono quelli che semplicemente ci finiscono dentro e tu sai benissimo che sei di quelli e così mentre sei qui alla partenza di questo Tor Des Glaciers ti chiedi perchè finisci mani e piedi in certi casini ma non lo sai nemmeno tu. Non necessariamente deve essere un grande sogno o un viaggio pianificato a volte basta una lotteria delle iscrizioni favorevole, una po’ di sana incoscienza o magari solo una banale sopravvalutazione delle tue capacità. La formula è semplice, non c'è più la certezza delle balise sostituite dal più tecnologico GPS con cui già sai che dovrai litigare e le scorrevoli alte vie 1 e 2 , tipiche del Tor des Geant, lasceranno il posto alla 3 e alla 4 decisamente più selvagge con qualche pezzo di puro ravanage ovvero “essenza dell'arrangiarsi in montagna in assenza di sentieri”.
Lo stress accumulato è decisamente alto, gli ultimi giorni passati invece che ad allenarsi a ricontrollare i materiali, le tracce e tutti i dettagli logistici con la casa degna di un campo base di alta quota sono solo una ennesima potenza della solita fase preparatoria delle tue gare.
La disponibilità di Claudio a seguirti in questa gara forse aggiunge un po’ di tensione per le aspettative ma d'altra parte anche tranquillità per qualcuno su cui contare quando non tutto girerà come vorresti, lui è calmo, sa quello che deve fare anche se quando ci incontriamo sommerso dai miei materiali e dai miei incertezze inizialmente un po’ barcolla ma poi reagisce alla grande. Sei lì con un migliaio di dubbi, sulla linea di partenza, lo zaino è quello delle grandi occasioni ben lontano da qualsiasi idea di fast&light mentre il low-profile è d'obbligo visto che essere finisher non è certamente scontato per la distanza il dislivello e la tecnicità del percorso. Ti sembrano scorrere davanti agli occhi, come i titoli finali di un film tutti i rifugi e i colli che dovrai fare, poi finalmente parti e salta ogni preoccupazione o pianificazione basta solo pensare a raggiungere il primo rifugio, pragmaticità vs pianificazione 1-0 e sarà il leitmotiv della settimana.
Pronti via, dopo un errore iniziale dell'auto che ci precede fino alla partenza del sentiero del TOR (ma noi siamo del Glaciers ..) ripreso il sentiero corretto iniziamo con i primi rifugi e dal Maison Vieille passiamo all'Elisabetta fino al Deffeyes dove trovo Claudio, fin qui il ritmo iniziale sembra troppo veloce ma d'altra parte rompere il fiato è d'obbligo. Salita spettacolare lambendo il ghiacciaio fino al Col di Planaval e discesa problematica sulla pietraia su una ganda instabile d'altra parte una colazione a Planaval devi guadagnartela in qualche modo. Finalmente è giorno, e da qui inizia una delle parti più belle del percorso provata in Agosto con Sonia, la salita al rifugio degli Angeli nella selvaggia Valgrisanche, passo decisamente allegro chiacchierando con Luca anche se so che dovrò abbandonarlo presto visto che mi sembra avere tutt'altro ritmo. Pitstop agli Angeli dove trovo Marco e poi panoramico single-track sulla balconata ventosa che porta al lago di S. Grato e da lì fino al rifugio Bezzi. I km sono solo 87, ti ripeti che non sei nemmeno partito e con Claudio riordini le idee visto che fino al Vittorio Emanuele non sarà semplice anche se la parte del percorso è una delle più panoramiche. Claudio è preoccupato perché sono troppo carico, pensa che non mi fidi di lui, in realtà non mi fido di come sarà questa parte fino a Cogne, con le quote più alte, il Passage Du Grand Neyron e il meteo variabile che mi aspetta.
Al Col Rosset inaspettatamente Claudio Herin fa il tifo e sei così stanco che quasi non lo riconosci, poi passando per il Benevolo cerchi di non pensare a nulla ma quando arrivi al Colle Nivolet entrando al rifugio Savoia il livello di cottura è decisamente elevato ma un passato di patate, un pezzo di formaggio e un caffè ti riconciliano con il mondo, forse la gara inizia ora con le esigenze primarie che prendono il sopravvento sul superfluo. Il gruppo ormai è sgranato, sei solo, ma la cosa non è nemmeno spiacevole è solo un test un po’ più impegnativo ma forse era proprio quello che stavi cercando iscrivendoti a questo Glaciers.
La discesa a Pont Valsavaranche non ti piace, procedi a rilento forse in un dormiveglia. Qui ti balena l'idea di andare all'Hostellerie Du Gran Paradis bussare da Alberto per avere un giaciglio come avevi fatto alle due di notte durante il test di questo tratta con Marco, ma poi decidi di non disturbare e opti per la classica salita al Vittorio Emanuele che sembra quasi risvegliarti, quando apri finalmente la porta del rifugio e vedi Claudio la prima idea è di concordare un piccolo riposo, ma lui è decisamente in canna, sta tenendo banco con le rifugiste da qualche ora , il suo spirito di animatore per rifugi sta prendendo decisamente il sopravvento , comunque è ancora lucido e mi consiglia di tirare ancora un po’ fino a Cogne , dopotutto saranno sì e no altre 14 ore , quando esco sento che stanno ancora scherzando ma so che l'idea è buona anche se metterla in pratica non è così banale visto che è già la seconda notte.
Esci dal rifugio direzione Chabod, entri un attimo e con Javi Puit Juste inizi finalmente la salita al passo del Grand Neyron, trovare il sentiero non è semplice vista la neve, quei pochi cm che servono ad uniformare tutto non facilitano. Ma Javi è uno tosto e si procede decisamente bene. Arrivato al passo chiedi alle guide com'è la discesa, ti senti rispondere solo una spolverata e inizi "sereno" la discesa, peccato che la spolverata ha ghiacciato le catene, le corde e i vari attrezzaggi. Scivoli sulla prima catena verticale nonostante i guanti da ferrata, capisci che non puoi più sbagliare perché sei già stato graziato ed hai usato il primo jolly. Così vedi di cavartela tra i ricordi del passaggio che avevi già provato e cercando di mantenere una calma che in quei frangenti non hai, ripensi ai consigli di Fausto durante il sopralluogo (vorresti chiamarlo ma stasera in questo gioco non è disponibile né la chiamata a casa né l’aiuto del pubblico) così ti arrangi da solo ed in qualche modo arrivi in fondo ed alla fine vorresti fare almeno qualche fotografia ma poi pensi che tanto mica te lo dimenticherai facilmente quel passaggio.
Ps. Pensi alla fine che le uniche ripetute che hai fatto quest’anno, le hai fatte su questa ferrata con Fausto, chiamala fortuna se non vuoi usare un eufemismo più schietto.
Un pericolo scampato di solito mette di buon umore, così quando risali al Col Loson imbiancato sei quasi euforico, l'andatura non è delle migliori ma quando arrivi al passo e incontri la rifugista del Sella, in veste anche di fotografo, proprio all'alba riesci anche a scambiare qualche battuta prima di correre verso il rifugio. Dal Sella la lunga discesa dai casolari dell'Herbetet in cui trovi Sonia a fare il tifo e poi anche qualche turista che scambiandoti per qualche atleta serio vuole perfino fare una fotografia con te, cerchi di sottrarti ma non puoi essere scortese e così ti tocca anche una foto di rito. Ma come è dura arrivare a Cogne, quando le gambe non collaborano e il conto delle ore sale.
Finalmente la prima base vita di Cogne dove vedi anche Fabio Cargnan compagno di qualche Tor, e qui con Claudio si cerca di riordinare le idee, relax completo, 5 minuti per una doccia, altrettanti per un massaggio, cibo e finalmente 50' di sonno, che dire un pit stop da re. Il team comincia decisamente a funzionare con Claudio che tenta di alleggerirmi lo zaino mentre dormo e io che reinserisco altro materiale appena mi sveglio, alla fine capisco che ha ragione lui accetto un minimo alleggerimento dei materiali opzionali. Quando esco dalla base vita penso sono 160Km, non ho ancora fatto niente, sembra training autogeno ma poi faccio mente locale e mi rendo conto che è vero sono solo 160Km, 12000D+ non ho fatto niente e sono già cotto.
Ripartendo da Cogne dopo la base vita del TOR sei sempre stato rilassato, così cerchi anche oggi di trovare le stesse sensazioni passando da Gimillian e salendo al passo dell'Invergneux fino alla Fenetre de Champorcher. A Gimillian trovo Fabio che mi dice di non mollare, mi stupisco di avere perfino del tifo, facciamo due parole e continuo verso Invergneux, non sono lucidissimo ma abbastanza per schivare qualche bikers, la fatica si fa sentire e fino rifugio Dondena passando per il Miserin comincio raschiare il barile delle forze rimaste. Quando la traccia mi fa seguire il periplo del lago invece del più diretto sentiero del Tor, onestamente con una serie di imprecazioni, penso di aver buttato la wild card per il Paradiso se mai ne avessi avuta una.
Arrivare a Chardonney è un incubo, trovare la Fricolla tra le tracce di sentiero e la ganda che porta alla vetta non è banale e quando arrivo al Dortoir Crest dire che sono esausto è un vedere il bicchiere mezzo pieno. Al Dortoir Claudio mi propone un riposo d'altra parte se si chiama Dortoir ci sarà un motivo, riordino le idee, mangio qualcosa e finalmente 50' di sonno profondo, dormo decisamente bene sapendo che qualcuno di cui mi fido mi può svegliare. Claudio ti sveglia ti dice "è ora", apri gli occhi e ti chiedi il significato della frase "è ora" per uno che nei 3 giorni ha fatto due pause da 50' poi non ti fai domande e riparti. Un pò di casini con la traccia GPS dopo il Dortoir che ti costringono ad accendere anche il telefono per controllare la traccia con l'App, è allora cominciano ad arrivare notifiche FB e WhatsApp, non le leggi ma ti ripeti che se qualcuno si prende la briga di seguirti forse è il caso di darti una mossa. Riparti deciso e ritrovi Javi , è uno di quei compagni di gara che vorresti sempre trovare , si chiacchiera con un mix inglese e spagnolo, si scherza facendo comunque gara e la lealtà traspare nel suo modo di fare , è decisamente di un alto livello ma decisamente condizionato da un bronchite da un paio di giorni. Rifugio Retempio, un paio di colli Col Pousseil e Col Liet e finalmente il rifugio Bonze, scherzo col rifugista Gianni che mi prepara un tagliere di salumi, non è periodo di nouvelle cousine ingurgito un pò di tutto senza una sequenza predefinita e riparto per la lunga discesa per Donnas mentre Juste decide di prenderla non più calma.
Entro alla base vita di Donnas, solito caldo infernale, Claudio ha preparato tutto, servizio top runner che quasi sono intimorito, un paio di minuti per una doccia, sto già mangiando e poi da vero amico mi butta fuori, non vorrei ma i km da fare sono ancora molti. Da Donnas a Gressoney il percorso in parte si sovrappone a quello del TOR, naturalmente fatta eccezione per le varianti. Per la serie agonisti fino al midollo, visto che è periodo di more, lungo i rovi dei muri a secco ne approfitto per raccoglierne qualcuna e poi anche un paio di mele, funghi non ne trovo ma Claudio mi aveva proibito di mettere altra roba nello zaino e quindi non mi preoccupo. Metto la testa bassa e comincio e ravanare fino a Sassa, è sempre stata la parte che del percorso TOR meno gradita, poi a traccia va verso il col Giassit attraverso qualche malga (ps.. i cani dei malghesi non gradiscono la mia presenza) prima di iniziare la parte finale attrezzata con una buona parte in cresta che porterà al Coda. Sulla carta tutto semplice, ma complice la notte e qualche chiodo di fissaggio corda sganciato l'attenzione necessaria è elevata, così quando inizio il tratto attrezzato ho decisamente sonno ma l'adrenalina necessaria risolve il rischio di assopirsi.
La vista del rifugio Coda è liberatoria, entro mangio qualcosa e chiedo di chiamarmi dopo 35 minuti, non so se siano sufficienti ma ci provo visto che da lì fino a Niel il percorso è semplice basta seguire le balise, semplice se non avessi sonno ... mi fermo per i normali bisogni fisiologici ma quando mi giro sto riprendendo il sentiero al contrario, poi una illuminazione e ritrovo il senso corretto per seguire le balise fino a Niel (comunque lezione memorizzata ... se ti giri in senso antiorario di 45°, per ritrovare la retta via poi devi fare una rotazione oraria degli stessi gradi se non vuoi rischiare di invertire il senso di marcia ). A Niel ritrovo Claudio, riposo minimal prima di ripartire per la deviazione che porta al colle del Lasoney in un bel vallone, trovo anche il tempo di chiacchierare col malghese che è qui con il suo gregge di pecore, sono perfino così simpatico ai suoi cani che nemmeno mi mordono ( i cani sono anche belli e si fanno accarezzare ma oggi la qualità che più apprezzo è che non siano mordaci ) , lui mi chiede della gara e mi da alcune conferme sul percorso. Il sentiero in quota che porta al Lasoney è spettacolare, mi sento bene e mi rendo conto di non sapere nemmeno bene che giorno sia, quando arrivo al colle incontro Chiara e da qui con calma scendo fino a Gressoney.
Base vita di Gressoney, Claudio come al solito ha preparato tutto perchè qui è un punto cruciale sono già 287km o sono solo 287km resta il fatto che devo darmi una sistemata, cambio scarpe, cibo e riposo. Tutto secondo sequenza compreso il solito siparietto tra me e Claudio per ridurre i materiali, so che ha ragione lui e comincio a cedere su alcuni dei miei principi di autosufficienza.
Mentre esco da Gressoney mi dico finalmente, l'ultima tratta poi rinsavisco e mi ricordo che "la tratta" sono sula carta 160 KM per 13000D+, parto rilassato per quanto puoi esserlo dormendo così poco e vado tranquillo fino a Batt, qui il GPS Garmin impazzisce decisamente e nel frattempo arriva Matt, anche il suo GPS da gli stessi segni di squilibrio ma con due GPS sballati è più facile. Si chiacchiera, quando mi capita di trovare sulle alpi italiane un atleta Sudafricano che abita nella zone delle montagne più alte del Sudafrica per scambiare quattro parole, mi dico. Arriviamo veloci al rifugio Sitten, qui vogliono riempirmi come a un pranzo nuziale (tagliata, patate, tiramisù, caffè ... tutto alla carte) ma decidiamo di fuggire verso la Bettolina, un momento di panico con la nebbia al passo poi trovo il percorso fino all'inizio della discesa nella ganda e da qui il primo deciso ammutinamento del ginocchio sx, continue fitte decido di lasciare Matt e procedo con calma, saranno 4 ore per arrivare a Resy al rifugio Ferraro, uno stillicidio , ti chiedi se sia colpa dell'età, dei 300KM e capisci l'avventura potrebbe finire , ti dici anche che era una delle opzioni ma non ti va proprio di accettarla.
Entro al Ferraro, vedo Claudio che capisce che col ginocchio così sono al limite decido di dormire 90 minuti, tanto continuare così sarebbe impossibile, la situazione è critica ma sono così stanco che mi addormento senza problemi, priorità vs preoccupazione 1-0. Mentre dormo penso di aver lasciato le preoccupazioni a Claudio che sicuramente non sa come farmi uscire facilmente da quella situazione, che dire sono quelle situazioni in cui i team si testano davvero. Mi risveglio decisamente riposato mi sembra di stare meglio e dopo colazione, un antinfiammatorio e un po’ di sana scaramanzia riparto, in testa mi balenano tante cose e le priorità sono perfino cambiate mi accontenterei anche di non essere finisher nel tempo massimo ma di riuscire a finire anche fuori gara il giro completo entro Domenica, la gara forse è passata in secondo piano , riparto comunque di buon umore visto che la salita al colle delle cime Bianche è una delle parti del percorso che preferisco, incrocio anche Sonia e Andrea che dicono che ho un buon passo ma non ne sono così convinto visto che li vedo correre mentre io devo accontentarmi di camminare. Sicuramente il ginocchio va meglio ma purtroppo il Duca degli Abruzzi passando per Plan Maison non è dietro l'angolo però con un po di sofferenza misto moderato ottimismo apro la porta del rifugio dove un bel piatto di pasta ed un dolce al cioccolato mi riconciliano decisamente con il mondo. Vorrei dormire ma decido per il rifugio Ugo Perucca, circa 16 km che mi avvicinano alla notte, la salita al rifugio con gli occhi dei camosci che fissano la mia frontale, qui una meritata cena e unora di stop per ricaricare le batterie visto che ormai l'encefalogramma è decisamente piatto.
Mi sveglio vorrei andare al bagno ma la toilette del rifugio è troppo distante, decido che si può rinviare lo stimolo e vado per il più agevole Col Valcornière e poi per il rifugio di Prarayer , qui trovo Claudio faccio colazione e riparto , l'idea è di ritrovarsi allo Champillon, in mezzo ci sta un po’ di serio ravanage D.O.C. Si litiga di nuovo col GPS in Val Pelline e di nuovo chiedo aiuto all'App del telefono così mi arrivano ancora un gran numero di notifiche e capisco che devo proprio andare avanti , non apro nessun messaggio o notifica WhatsApp o FB ma lo sento come una spinta positiva, mi dico forse è Alessandra che ha generato tutto questo casino social .... spengo il telefono, ritrovo la traccia e arrivo barcollante al Rifugio Crête Sèche, dove incredulo trovo Fausto e Giovanni in trasferta sui percorsi TOR.
Sono un uomo semplice, credo, chiedo due bibite gassate, 3 fette di torta e un caffè prima di andare a dormire con richiesta di sveglia dopo 15 minuti, entro in catalessi sulla branda prima di svegliarmi esattamente dopo 14' terrorizzato di non essere stato chiamato salto in piedi come una molla, vado in bagno e sento che mi stanno cercando, calma sono vivo e sono ancora nel rifugio. Saluto Fausto e Giovanni e vado verso Col di Mont Gelé, trovo la guida che mi fa vedere una mappa del ghiacciaio con qualche indicazione e mi consiglia di seguire in discesa gli ometti che delineano il percorso di discesa, più facile a dirsi che a farsi, paesaggio lunare e pietre taglienti fino al Bivacco Regondi dove mi concedo un pediluvio piedi cotti dal caldo delle pietre.
Comincio a pensare “fin qui ci sono arrivato”, poi rinsavisco e mi dico "non hai ancora fatto niente" ed infatti arrivare al rifugio Champillon sarà un inferno, il sentiero sarebbe decisamente corribile ma visto che non ne hai diventa solo calpestabile. si incrociano gli atleti del TOR, ed arrivo con Lelio al rifugio, sento i campanacci e vedo anche Fulvio Jeantet.
Entro finalmente, Claudio capisce che sto meglio e vediamo di darci una mossa la scaletta è la solita, sistemazione piedi, alimentarsi e dormire. chiedo una pasta, ma pasta non è ancora pronta, comincio a spazientirmi, propongo di mangiarla anche leggermente al dente non è periodo di Master Chef per me, non me ne voglia il buon Cracco, ho solo urgenza di dormire, poi però quando arrivano delle fettuccine casarecce da manuale giustificano decisamente l’attesa, grazie. La rifugista è la stessa che all'una di notte abbiamo svegliato un mese fa con Marco peregrinando qui in zona e la disponibilità è la stessa di allora in cui prima avevamo chiesto solo un letto e poi almeno un tagliere ... quindi doppio grazie. 50 minuti tra le braccia di Morfeo, Claudio che mi dice è ora, lascio il rifugio e sono di nuovo in moto, salita allegra fino al col Champillon e discesa con le ultime luci a Ponteille Desot rifugio classico del TOR.
Tutto semplice ora, vado in direzione St.Remy, stasera non ho nemmeno tempo per draghi, elefanti o altre allucinazioni di rito perchè poi inizia l'avvicinamento al Col Barasson Occidentale, con la parte finale di pietraia con segnaletica nulla, traversone conclusivo della serie "io speriamo che me la cavo", e infine uscita a quattro zampe sotto i tralicci e pietraia di raccordo rigorosamente da maledire per arrivare la colle del S.Bernardo.
Tiro un sospiro di sollievo quando leggo finalmente "Ospizio del Gran S.Bernardo", poi seguirà una serie di imprecazioni in linguaggio DOP Valtrumplino quando scopro che il punto di controllo previsto è stato sostituito con quello presso l'albergo Italia. Mi viene incontro Alessandra le racconto che ho visto luci che si accendevano e spegnevano sul confine, forse contrabbandieri di confine, lei non mi sembra convinta ma non vuole contraddirmi e mi asseconda. Qui sono tutti gentili ma non posso approfittare, decido con Claudio che è il caso di ripartire immediatamente.
Mi dico che è ora di aumentare il ritmo nella tratta dal Colle del San Bernardo per arrivare al Frassati, ma di notte arrivarci non è così semplice, mi autoconvinco di non essere stanco metto giù la testa e cerco di fare del mio meglio che poi a questo punta della gara si chiama “passo tabella CAI”, Col di St.Rhemy poi Col des Ceingles e finalmente arrivo al Frassati ma il tempo trascorso sembra infinito. L'arrivo al Frassati anche al Tor mi ha sempre logorato e anche questo percorso non è stato da meno. Apro la porta del rifugio, Claudio e Alessandra mi aspettano, stupisco anche Claudio perché decido di alleggerire ulteriormente lo zaino ed esco immediatamente, la salita la Malatrà non mi ha mai pesato e non mi peserà nemmeno stasera, mi attacco ai fidi bastoni che stasera hanno il misticismo di una Excalibur prestata da Artù per il trail , guardo l'orologio dopo le ultime corde e leggo 19' mi sembra incredibile.
Finalmente inizia l'avvicinamento Courmayeur, scendo bene fino al ristoro dopo Malatrà prima del Bonatti, qui la guida vorrebbe farmi fare un percorso diverso rispetto alla traccia su cui dice di aver deviato anche gli altri concorrenti , non è d'accordo con l'organizzazione e tra vari disguidi mi fanno perdere 25 minuti, quando si chiariscono arriva anche un altro concorrente, una posizione buttata solo la magra consolazione dopo 6 giorni di essere più lucido dei controllori e di aver effettuato tutta la traccia completa fino a Courmayeur ... sbollisco la rabbia solo quando arrivo sulla Tete Tronche e penso solo a gustarmi la lunga discesa fino al Bertone e poi a Courmayeur, e ora nemmeno le fitte al ginocchio riescono a rovinare il momento.
Quando entro a Courmayeur e salgo sulla pedana di arrivo mi rendo conto che non mi sembra di aver terminato niente, ormai camminare giorno e notte senza soluzione di continuità era la normalità, come era la normalità di scendere da un colle e salire su un altro, non serve alzare le braccia sotto questo arrivo, vedo Claudio supporto in questo viaggio e lo abbraccio, si questo serve. Arrivo 6°, ma quello che mi importa è avere completato un percorso in cui ho messo tante energie, quel percorso che quando tutto andava per il peggio mentre riposavo al rifugio Ferraro sognavo almeno di completarlo fuori tempo massimo. Quando realizzo che sono arrivato forse è solo quando mi siedo sulle panchine di pietra del Jardin de l’Ange con Marco e Claudio.
Non ero così convinto quando sono partito per questo viaggio che sarei stato in grado di completarlo, i dubbi erano molti, la tecnicità del percorso, l'incognita della reazione del fisico ad un percorso così lungo, la inevitabile privazione del sonno e l'incognita meteo. Poi però qui è confluito tutto, la pazienza della mia famiglia che ha subito la mia logorroica preparazione negli ultimi mesi, le prove fatte con Marco sul percorso nei mesi scorsi, le dritte di Fausto per muovermi sui percorsi attrezzati, la voglia di continuare anche quando sei al 50% e le ginocchia chiederebbero tregua come negli altri TOR, un amico come Claudio di quelli che non ti dicono "se ti serve ci sono" ma che “ci sono senza se”. Naturalmente grazie a Alessandra, sia per aver aggiornato FB ma soprattutto per la sua presenza finale, lo ammetto non ho letto alcun messaggio in gara ma solo sentire le notifiche quando accendevo il telefono per ricontrollare la traccia è stato un ottimo stimolo.
Grazie a tutti gli amici Valdostani, ma specialmente a Sonia, Andrea, Fabio Cargnan, Claudio Herin che forse credevano più in me di quanto non credessi io e grazie a tutti i gestori dei rifugi ed alla loro disponibilità che non è mai mancata anche nelle ore notturne.
Un percorso incredibile, un periplo da brivido ma soprattutto una esperienza totalizzante, non ho mai guardato l'orologio, spesso incosciente perfino del giorno della settimana, un solo rammarico di non aver avuto qualche ora in più per fermarmi nei rifugi, chiacchierare e godermi i panorami, è stata comunque gara vera forse più contro il tempo e contro i miei problemi che contro avversari con non percepivo come tali. La sensazione che si poteva certamente fare di meglio resta ma anche quella di aver comunque dato il massimo in questo severo contesto.
Nei titoli di coda non può mancare il ringraziamento per chi ha ideato il percorso, ha chi ha tirato il sasso, ha chi ha gettato il guanto di sfida, ma soprattutto a tutti quanti lo hanno raccolto decidendo di partecipare indipendentemente dal risultato e perfino dall’essere o meno finisher questa volta più che in altre valeva decisamente la pena di provarci.
Sensazione finale non quella di un viaggio ma di essere in un frullatore che ha mescolato sapientemente, come solo il caso sa fare sequenze di passi, salite e discese, colli e fondovalle, albe e tramonti, solo dalla cima della Tete Tronche, guardando Courmayeur e imprecando per il ginocchio ribelle, la sensazione che qualcosa stava finendo.
Onestamente, ho fatto fatica anche io a ricordare e poi a leggere fino a questo punto ma ne avevo bisogno per non rischiare di scordare tutto , stasera ricordi vs sonno arretrato 1-0.
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