venerdì 30 aprile 2021

PreMorte - NDE bear death experience

Cosa significa tornare alla vita dopo la “premorte”: parla il cardiologo che studia la “quasi morte”

CLAUDIO GALLO

Intervista all’olandese Pim van Lomme

Dalla morte non si ritorna ma dalla “premorte” in alcuni casi sembrerebbe di sì e il percorso a ritroso verso questo mondo cambia per sempre il viaggiatore che diventa più empatico e fiducioso nel senso ultimo della vita. Questo è almeno ciò che pensa Pim van Lommel, cardiologo olandese, che ha dedicato la vita a studiare i fenomeni di Nde (Near Death Experience), esperienza di prossimità con la morte possibili specialmente negli stati di coma temporaneo o di arresto cardiaco. Nel suo libro “La coscienza oltre la vita” (Edizioni Amrita) fa una rassegna delle varie tipologie di Nde che spesso consistono in una sensazione rinfrancante di passaggio attraverso un tunnel, in direzione di una luce, altre volte sembrano permettere di osservarsi fuori da se stessi come in un sogno. Van Lommel, insieme con alcuni colleghi, ha pubblicato su questi eventi un pionieristico e controverso studio su “Lancet” nel 2001. L’interpretazione delle esperienze al confine con l’al di là ha portato il medico olandese a formulare una concezione della realtà che attraverso vari richiami alla fisica quantistica ipotizza l’esistenza di una coscienza onnipervadente al di là dello spazio e del tempo che sorregge le nostre coscienze individuali. Van Lommel non usa toni da predicatore e ammette candidamente che la sua visione del mondo è un’ipotesi suggestiva ma indimostrata. La maggioranza dei neuroscienziati, che considera invece la coscienza come un prodotto del cervello, non giudica le sue spiegazioni scientifiche e spiega le esperienze Nde come una residua attività cerebrale non misurabile con l’elettroencefalogramma. Insomma, per la scienza attuale non c’è nessun fantasma dentro la macchina, la macchina siamo noi e basta. Il dottor Van Lommel spiegherà la sua visione del mondo in una conferenza oggi (domenica 26 marzo) alle 20:30 alla Gam, Corso Galileo Ferraris 30 a Torino.

Dottor Van Lommel, come avviene una Nde e quanto è frequente?

«Un’esperienza di premorte (o NDE, “Near Death Experience”) può essere definita come il ricordo di una serie di impressioni vissute durante uno speciale stato di coscienza, fra le quali si trovano diversi elementi “universalmente presenti”, come un’esperienza fuori dal corpo, sensazioni piacevoli, la visione del tunnel, della luce, dei propri cari defunti, il passare in rivista la propria vita, e il ritorno cosciente nel corpo. Tra le circostanze di una NDE abbiamo l’arresto cardiaco (morte clinica), uno shock a seguito di emorragia, la conseguenza di un colpo apoplettico, un quasi affogamento (un caso più frequente nei bambini!) o asfissia, ma anche malattie gravi dove la minaccia di morte non è immediata, o addirittura durante episodi di depressione, isolamento o meditazione, e persino senza una ragione evidente. Come a dire che non c’è sempre bisogno, a quanto pare, di avere un cervello fuori uso per vivere e poi raccontare una NDE.

 La NDE è sempre un’esperienza trasformativa, in quanto causa cambiamenti profondi nel modo di cogliere la vita, elimina la paura della morte e rafforza la sensibilità intuitiva. Le NDE sono oggi sempre più frequenti: i malati che sopravvivono, infatti, sono più numerosi grazie alle moderne tecniche di rianimazione e al miglioramento delle cure per chi subisce un trauma cerebrale». 

Che cosa si “vede” durante una NDE?

«Secondo uno studio olandese a cui ho partecipato insieme ad altri colleghi e che è apparso su Lancet nel 2001, la metà dei pazienti che aveva avuto una NDE dissero di essere stati consapevoli di essere morti, e riferirono emozioni positive; il 30% disse di aver vissuto l’esperienza del tunnel, osservato un paesaggio celestiale o incontrato persone decedute; all’incirca un quarto disse di aver avuto un’esperienza fuori dal corpo, di aver comunicato con “la luce”, e descrisse percezioni di colori; il 13 % aveva passato in rassegna la propria vita e l’ 8 % aveva percepito la presenza di un confine».

La scienza ufficiale ipotizza che gli stati di Nde siano semplicemente alterazioni cerebrali, perché lei è scettico?

«Immagino che per “scienza ufficiale” lei intenda il paradigma materialistico ancora largamente accettato. In passato sono state formulate diverse teorie per spiegare le NDE, ma il nostro studio ha evidenziato che non vi sono fattori psicologici, farmacologici o fisiologici capaci di causare queste esperienze durante un arresto cardiaco. Se una pura spiegazione fisiologica fosse valida, come la mancanza di ossigeno nel cervello, la maggior parte dei pazienti che avevano avuto una morte clinica avrebbero dovuto riferire una NDE, dal momento che tutti i pazienti coinvolti nel nostro studio avevano perso conoscenza proprio per mancanza di ossigeno nel cervello conseguente a un arresto cardiaco. Invece solo il 18% riferì di aver avuto una NDE, ed è tuttora un gran mistero perché mai solo il 18% abbia riferito di una NDE dopo un arresto cardiaco. Sembra corretto concludere che allo stato attuale delle nostre conoscenze non ci è permesso ridurre la coscienza ad attività e processi cerebrali: la lacuna in materia di spiegazioni fra il cervello e la coscienza non è mai stata superata perché un certo stato neuronale non è la stessa cosa di un certo stato di coscienza. La coscienza non è visibile, né tangibile, né percepibile, né misurabile, né verificabile, né falsificabile: non siamo in grado di oggettivare l’essenza soggettiva della nostra coscienza».

Esistono riscontri oggettivi ai racconti dei pazienti che dicono di essersi visti dall’esterno mentre erano in coma durante un’operazione?

«Nelle OBE (“Out of Body Experiences”, o esperienze extracorporeee) le persone riportano percezioni veridiche che avvengono da un punto al di fuori e al di sopra del loro corpo senza vita. Chi ha vissuto una NDE ha l’impressione di essersi liberato del corpo come di un vecchio cappotto, ed è sorpreso di avere ancora un’identità con la possibilità di provare percezioni, emozioni, ed una coscienza particolarmente lucida. Questa esperienza fuori dal corpo è particolarmente importante dal punto di vista scientifico perché i medici, gli infermieri e i parenti possono verificare le percezioni che vengono riportate, e anche confermare il momento preciso in cui è avvenuta la NDE con la OBE durante il periodo di rianimazione cardio polmonare. In una recente rassegna di 93 testimonianze di percezioni OBE potenzialmente verificabili e avvenute durante le NDE, si è scoperto che circa il 90% delle OBE riportate erano accuratissime: la verifica ha comprovato che tutte le percezioni avvenute durante il coma, l’arresto cardiaco o un’anestesia generale riferivano dettagli davvero accaduti; l’8 % delle testimonianze conteneva solo piccoli errori e il 2 % era del tutto errato».

Un esempio?

«Questo è quello che scrive un’infermiera di un reparto di cardiologia intensiva: 

«Durante il turno di notte l’ambulanza porta nel mio reparto un uomo di 44 anni, cianotico e in stato comatoso: lo avevano trovato in coma in un prato una mezz’ora prima. Stiamo per intubarlo quando ci accorgiamo che ha la dentiera. Gli togliamo la dentiera superiore e la mettiamo sul carrello di emergenza. Ci vuole un’altra ora e mezza perché il paziente ritrovi un ritmo cardiaco e una pressione sanguigna sufficienti, ma è ancora intubato e ventilato, e sempre in coma. Lo trasferiamo in terapia intensiva per continuare la necessaria respirazione artificiale. Il paziente esce dal coma una settimana dopo e me lo vedo tornare nel reparto cardiologia. Appena mi vede, dice: «Ah, questa è l’infermiera che sa dov’è finita la mia dentiera». Sono davvero molto sorpresa, ma il paziente spiega: «Lei era presente quando mi hanno portato in ospedale, mi ha tolto la dentiera dalla bocca e l’ha messa nel cassetto scorrevole sotto il ripiano del carrello, carico boccettini».

Nel caso di malattie come l’Alzheimer che cancellano la personalità, dove finirebbe la coscienza? 

«La coscienza è non-locale, il che significa che è ovunque, sempre, tanto intorno a noi quanto dentro di noi, e il cervello solo funge da interfaccia, ricevendo, quando siamo in stato di veglia, parti di questa coscienza potenziata e parti dei nostri ricordi. Mi spiego con un’immagine: le immagini e la musica che vediamo o udiamo aprendo la TV vengono trasmesse all’apparecchio televisivo, e se danneggiassimo alcune sue componenti probabilmente avremmo una distorsione di immagine e suono, o magari li perderemmo del tutto, il che non vorrebbe dire che quel programma sia un prodotto del nostro apparecchio. Tant’è vero che un altro apparecchio potrebbe ancora riceverlo. Questo è paragonabile alla funzione cerebrale: il danno o l’interruzione avvenuti in certe aree specifiche del cervello possono produrre cambiamenti di coscienza (Alzheimer, demenza) o la perdita di essa (coma), ma ciò non prova che la coscienza sia un prodotto della funzione cerebrale.

Nei pazienti con Alzheimer quello che è danneggiato è lo strumento, l’interfaccia, ossia il cervello, con il risultato che la coscienza di veglia è disturbata o assente, tuttavia la nostra coscienza potenziata, non-locale, è sempre presente, in quanto non è localizzata né nel cervello né nel corpo. Qui è interessante menzionare la cosiddetta “lucidità in fase terminale”, quando, poco prima della morte, pazienti che hanno sofferto di Alzheimer per anni e non riconoscono più neppure i loro cari e i loro figli, possono avere uno sprazzo di lucidità in cui tornano a riconoscere il partner e i figli e li chiamano per nome, li ringraziano e poi muoiono. La lucidità terminale può manifestarsi anche in pazienti non più responsivi o in coma da giorni. Sono esperienze che non trovano spiegazione nelle teorie mediche correnti, perché il cervello di pazienti del genere dev’essere gravemente danneggiato; la lucidità terminale può invece essere ben compresa alla luce della non-località della coscienza. La lucidità terminale è ben nota a chi lavora negli hospice e nelle cure palliative».

La sua teoria ha influenzato la sua posizione sull’eutanasia?

«Le ricerche sulle NDE vertono sulla possibilità di esperire stati di coscienza potenziati durante un arresto cardiaco, il coma o un’anestesia generale. Certamente se ci fosse una maggiore conoscenza dei risultati di queste ricerche e della possibilità che la coscienza continui dopo la morte, l’impatto sulla medicina sarebbe significativo in quanto ispirerebbe una diversa visione di come occorra trattare i pazienti in coma o terminali. Certamente farebbe la differenza rispetto alle procedure di accanimento terapeutico all’inizio o alla fine della vita, all’eutanasia, o all’espianto di organi a cuore battente, quando il corpo è ancora caldo ma è stata diagnosticata la morte cerebrale. Le ricerche sulle NDE non sono solo rilevanti per i professionisti della salute, lo sono anche per i pazienti vicini alla morte e i loro cari. Dovrebbero essere tutti consapevoli delle straordinarie esperienze coscienti che possono avvenire durante la morte clinica o il coma, intorno al capezzale di un morente (esperienze di fine vita), o persino dopo la morte (comunicazione post mortem). Quindi approfondire la conoscenza della non-località della coscienza può cambiare il nostro punto di vista circa l’impatto dell’eutanasia sulla nostra coscienza, e anche la nostra concezione della morte e del morire».

mercoledì 21 aprile 2021

La vipera

Pronto soccorso veterinario Athena H24 Rivoli Torino
La VIPERA 🐍, 
cerchiamo di conoscere meglio questa  nemica-amica delle nostre passeggiate estive.

Ci è stato richiesto cosa fare e, soprattutto, cosa NON fare, in caso di incontri un po’ ' troppo ravvicinati con le vipere, ecco a voi alcune indicazioni:

La comune Vipera Aspis, è presente in tutte le regioni italiane (trenne la Sardegna) sia in pianura che in montagna; ci sono poi la Vipera Berus, e la Vipera Ammodytes diffuse specialmente nel nord Italia mentre quella caratteristica delle regioni centrali al di sopra dei 1.500 metri è la Vipera Ursini.
Il suo morso è di solito caratterizzato da due piccoli forellini distanziati di circa 1cm l'uno dall'altro e nelle vicinanze si notano le impronte degli altri denti mascellari che non sempre sono visibili soprattutto se il morso è avvenuto sopra dei calzettoni. 
In ogni caso, non facile individuare il punto esatto in cui è avvenuto perchè la maggior parte delle volte, viene inferto con un solo dente mentre le impronte circostanti sono virtualmente invisibili. Perciò, se non siete in grado di riconoscere a prima vista i serpenti, l'unico modo per poter distinguere se è stata una Vipera a mordere, è il dolore prolungato e locale che segnala il cane.                              

Attenzione, potrebbe capitare che la vipera abbia perso un dente velenifero, oppure che il morso non sia andato a segno completamente e a fondo. In tal caso può essere presente un solo foro del dente velenifero. 
La vipera è un serpente lungo circa un metro di color grigio-marrone a volte anche rossastro o giallastro. Ha la testa più larga rispetto al resto del corpo e   a forma triangolare; inoltre le sue pupille sono verticali e non rotonde. 
E' un animale che d'inverno va in letargo e, quando in primavera si risveglia, il suo habitat ideale sono le pietraie, l'erba alta soprattutto nei giorni di sole e giornate molto calde che seguono periodi di pioggia. 
                 
NON E' UNA ATTACCA-BRIGHE!  un minimo di rumore la fa allontanare e fuggire, (i serpenti sono sordi ma reagiscono alle vibrazioni del terreno), non attacca mai se non costretta (calpestata o se incautamente appoggiamo ad esempio un braccio o una mano o il muso del nostro cane in prossimità di una pietra dove si trova ranicchiata: il suo istinto la porta a proteggersi).
Il morso di Vipera, E' MENO MORTALE di quanto comunemente si crede, ma non va assolutamente sottovalutato, soprattutto se coinvolge cani di piccola taglia, anziani o molto giovani.

Mediamente il veleno iniettato non dovrebbe essere molto pericoloso per un uomo adulto ma le variabili sono parecchie: 
• da quanto sono piene le ghiandole velenifere della Vipera e quindi dalla quantità di veleno iniettato, 
• dal modo e dal punto in cui i denti affondano nella carne, (più pericolosi i morsi al muso, al collo, al torace o alla testa; molto meno quelli agli arti).
• Dipende anche dalla massa corporea: può essere veramente pericoloso per   per i cani di piccole dimensioni.
SINTOMI:
- Sintomi locali:
 innanzitutto un dolore intenso nella zona colpita accompagnato da gonfiore ed emorragia a chiazze dopo circa 10 minuti con crampi più o meno forti: il cane cercherà di sfregarsi la parte, rischiando di provocarsi dei traumatismi 
- Sintomi generali: 
dopo all'incirca 30 minuti - 1 ora, il cane barcolla, per dei sensi di vertigini, si abbassa la  temperatura corporea, può diventare aggressivo e mordace per il dolore (tipo cefalea), una riduzione della pressione arteriosa arrivando fino allo stato di shock, tatchicardia, vomito, diarrea. In casi particolarmente gravi si ha anche una difficoltà respiratoria. Uno dei primi segnali della gravità della situazione è dato dal fatto che   ha difficoltà a mantenere le palpebre aperte a causa dell'interessamento del sistema nervoso.

ALLORA RAGAZZI, IN AZIONE ED ECCO COSA BISOGNA FARE: 
prima di tutto mantenete la calma e sangue freddo!
• Tranquillizzare il cane è una delle principali azioni da svolgere se non addirittura la più importante. 
• Tenete il cane coricato e   impedite il più possibile al veleno di diffondersi per l'organismo. E' molto utile spremere la ferita immediatamente dopo il morso per cercare di farne uscire il maggior quantitativo possibile, ma NON succhiate MAI il veleno : rischiate di intossicare voi stessi.
Per aspirare il veleno ci sono in commercio delle apposite coppette aspiratrici che sarebbe opportuno e saggio portare nello zaino. Se non le avete non preoccupatevi. Lavate la ferita con dell'acqua ossigenata o acqua soltanto, bendatela con un indumento pulito: sarebbe meglio una garza sterile.
1) Se la parte colpita è un arto:
•  stringere con un laccio, una cintura, i lacci degli scarponi, la parte a monte del morso all'incirca 5 centimetri più in alto.
• Deve essere stretta a sufficienza per bloccare la circolazione linfatica, quella attraverso la quale il veleno si diffonde più velocemente. Verificate però che si riesca a sentire il battito del cuore a valle del laccio che quindi non deve essere stretto molto.
•  Più indicata sarebbe una fasciatura molto più stretta a monte del morso, sino alla fine dell'arto. 
• Ridurre al minimo i movimenti; se possibile steccare l'arto e fare in modo che la zona colpita rimanga sempre più bassa rispetto al cuore. 

2) Se la parte interessata è il collo, la testa o il tronco (zone del corpo dove non si può stringere con una fascia):
• bisogna applicare un cerotto adesivo elastico in modo che comprima il più possibile la parte intorno al morso per ritardare l'entrata in circolo del veleno. In ogni caso sarebbe opportuno esercitare una certa pressione per guadagnare tempo. 
Se il tutto viene fatto in modo efficace, i sintomi vengono ritardati di un bel po’: da 1 a 6 ore circa. 
Perciò valutate tutto in base alla distanza ed al tempo che dovete impiegare per trasportare il paziente al più vicino pronto soccorso. 
Nel caso in cui la Vipera sia stata uccisa, sarebbe opportuno portarla con se per l'eventuale identificazione.

ATTENZIONE INVECE A COSA NON DOVETE FARE: 
• Non far agitare la vittima e non farla muovere. 
• Non sollevate per nessun motivo l'arto colpito con cuscini o altri supporti 
• Non cercate di incidere la ferita e succhiarne via il veleno con la bocca: basta un niente per essere infettati (labbra screpolate, carie). 
• Non disinfettate con alcool in quanto il veleno forma dei composti tossici.
• Non somministrate assolutamente il siero antivipera: si rischia lo shock anafilattico. E' una scelta che deve essere fatta esclusivamente dal personale medico. 
• Non somministrare al paziente nessun tipo di antidolorifico o antinfiammatori che possono avere effetti anticoagulanti. 

PER  LIMITARE IL RISCHIO DI FARE TUTTO CIO'...LA PREVENZIONE
• Prima di sostare per un pranzetto in montagna, evitate di scegliere se possibile zone pietrose esposte a sole e con sterpaglia alta.
•  In ogni caso è bene far molto rumore con dei bastoni per spaventarle. Sono animali schivi e ciò li spingerà a scegliersi dei luoghi più tranquilli. 
• Non spostate sassi, 
• Per voi stessi: indossate calzature adatte che limiterebbero di molto le conseguenze di un morso (scarpe da trekking e calzettoni). 
• Se avvistate una vipera cercate di stare calmi e non fate assolutamente niente: sarà lei che penserà ad andarsene e a lasciarvi tranquilli. 
• In luoghi a rischio, tenete i cani al guinzaglio e, se vedete che “puntano” in una determinata direzione, …girate al largo!!!
Ricordatevi sempre che non sono animali cattivi o terribili: vivono secondo la loro natura, così come noi viviamo secondo la nostra. Vanno semplicemente rispettati.
Quando una persona è morsa da un rettile è di fondamentale importanza tenere conto delle seguenti variabili: 
1. il rettile potrebbe non essere una vipera 
2. se il rettile è una vipera ( riconosciuta ), potrebbe non avere inoculato il veleno (cosiddetto “morso secco” ), o avere inoculato una dose ridotta. Questo dato ha portato alla definizione di un protocollo diagnostico – terapeutico pressoché sovrapponibile in tutti i paesi, che partendo dal presupposto che ”morso di vipera” non significa “avvelenamento da morso di vipera”, orienta al trattamento del paziente. 

IL MORSO avviene in 3 fasi 
1. apertura della bocca con un angolo > 180° 
2. estrazione delle zanne 
3. Morso 
La gravità dell’avvelenamento dipende dalla quantità di veleno iniettato; con un morso viene inoculato il 4-7% della quantità del veleno. 
Ci possono essere anche 20-30 attacchi successivi, fino a scaricare del tutto le ghiandole
velenifere. In media un morso può contenere dai 5-40 mg di principio attivo, minore se la vipera ha da poco morso un altro animale. Le sedi prevalentemente colpite sono:
Nell’uomo:  arti inferiori e superiori, 
Nei cani: il muso, vicino al tartufo e gli arti anteriori
. Il quadro clinico varia in base alla: 
- sede del morso 
- tempo trascorso dal morso 
- temperatura ambientale (il caldo, per la vasodilatazione, facilita il passaggio in circolo del veleno) 
- attività svolta dalla vittima dopo il morso ( se la vittima inizia a correre, aumenta il passaggio in circolo del veleno) 
- età del rettile (le vipere giovani hanno un veleno meno pericoloso) 

Circa il 20% dei morsi di serpente sono morsi “secchi” in cui non vi è alcuna inoculazione di veleno. Il veleno è essenziale per la vita del rettile, quindi la vipera tende a non sprecarlo mordendo i nostri cani o l’uomo. Ecco perché a volte si ha evidenza della sede di puntura, ma non c’è comparsa di sintomi sistemici.

COMPOSIZIONE DEL VELENO 
Il veleno della vipera è costituito da acqua, protidi, nucleotidi, ioni, metalli: sostanze che servono ad immobilizzare, uccidere e digerire la preda. Gli effetti locali e sistemici che ne derivano sono di tipo cardiotossico, nefrotossico e neurotossico; possono concomitare disturbi della coagulazione. 

TERAPIA NON ANTIDOTICA                   

- Rimuovere l’eventuale bendaggio compressivo 
- Effettuare una profilassi antitetanica e antibiotica. 
- Provvedere ad una terapia sintomatica per il dolore e somministrare benzodiazepine nei casi in cui compare ansia. 
- I farmaci antistaminici e cortisonici (uso anche preventivo, nei casi di alto indice di probabilità che si tratti di morso di vipera) sono utili nei casi in cui insorgano fenomeni allergici. 

- Misurare la circonferenza dell'arto almeno 3 volte. La frequenza delle misurazioni viene eseguita inizialmente ogni 1-2 h, ma aumenta in caso di rapida progressione della sintomatologia locale 
- Definire il prima possibile la classe di gravità del morso di vipera per stabilire il trattamento da seguire 

Grado 0
Tracce del morso, assenza di segni locali (morso secco), Osservazione per 4 h. 

Grado I
Edema localizzato alla zona del morso; assenza di segni generali. Osservazione 
per 24 h: trattare i sintomi e tenere presente che il 10-15% di pazienti nel Grado I 
diventano di grado II o dopo pochi minuti o tra le 6 e le 16 h . 

Grado II
Estensione dell'edema alla radice dell’arto colpito e comparsa di sintomi sistemici:
 ipotensione senza shock, vomito e diarrea. Se possibile: Trattamento antidotico. 

Grado III
Avvelenamento severo con sintomi gravi. Trattamento antidotico. Monitorare i parametri laboratoristici (Esami ematochimici: coagulazione, prodotti di degradazione del fibrinogeno, D-dimeri, proteine totali, emocromo, enzimi muscolari come CPK, CK, MB, LDH, mioglobina, bilirubina totale e frazionata, creatinina, azotemia, elettroliti, emogasanalisi, glicemia, esame delle urine), clinici (edema, dolore locale, ecchimosi, strie linfangitiche, linfoadenopatie, tromboflebite, nausea, vomito, dolori addominali, dispnea, angioedema, ipotensione, tachicardia, convulsioni e coma) e strumentali (elettrocardiogramma, eco-doppler dell’arto colpito). 

TERAPIA ANTIDOTICA                 
La somministrazione del siero (qualora disponibile) è indicata solo se il paziente diventa sintomatico, ed in particolare nei casi in cui compaiono : 

- Alterazioni dei parametri emocoagulativi 
- Ipotensione grave o shock 
- Sintomi gastroenterici importanti e prolungati 
- Aritmie cardiache, dispnea 
- Edema imponente dell’arto coinvolto 

SIERO ANTIOFIDICO 
Una volta si portava per precauzione, quando si andava in campagna o in montagna; ma ora, a parte il problema della conservazione, che imponeva il rinnovo ad ogni stagione, il siero antiofidico è diventato irreperibile. Il siero antivipera è un farmaco non prodotto in Italia. Proviene dalla Jugoslavia da cavalli immunizzati col morso di vipera per uso  esclusivo ospedaliero, un suo uso al di fuori dell’ambiente ospedaliero, oltre che scarsamente efficace (potrebbe essere somministrato 
solo per via intramuscolare o sottocutanea ), esporrebbe il paziente a rischio di reazioni gravi da anafilassi. Solo il 10-20 % dei pazienti con morso di vipera  necessiterebbe del siero.

immagini e parte del testo, presi dal web.